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Note di regia

    L’ intrigante trama de “L’Uomo, la Bestia e la Virtù”, trasposizione teatrale di una novella del 1906, “Richiamo all’obbligo”, delinea con precisione e immediatezza questa commedia dai toni vagamente boccacceschi e alquanto inconsueti per un autore solitamente pudico come Pirandello.

 

    Il lavoro andò in scena per la prima volta al Teatro Olympia di Milano il 2 maggio 1919, e il tema trattato dovette risultare certamente esplosivo per il comune sentire dell’epoca.

 

    La satira è pesante, pervasa da una ironia feroce e crudele, che non risparmia nemmeno la figura femminile, qui presentata nel suo duplice aspetto di madre e di amante.

 

    La signora Perella è una virtù solo in senso antifrastico, per cui è evidente che il binomio madre-amante non può darsi se non come trinomio madre-amante-puttana.

 

    Mai Pirandello aveva osato tanto.

 

   Una sottile vena irriverente avvolge tutta la commedia, definita dal suo stesso autore un “apologo in tre atti”, che lascia trapelare qua e là accenni vagamente sacrileghi.

 

    Nulla è come appare, e ciò che appare è solamente quello che impongono le convenienze.

 

   Cosicché siamo portati a chiederci se la vera bestia sia il capitano Perella, che ripudia sua moglie, o non piuttosto Paolino, che la spinge cinicamente tra le braccia del marito solamente per evitare uno scandalo.

 

    Fu abbastanza per la critica di allora, che giudicò troppo irriverente questo lavoro, e lo stroncò.

 

   Ma il gusto del pubblico cambia, e riproporre oggi questo testo rappresenta per il Teatro del Sorriso l’occasione di dimostrare ancora una volta la propria versatilità, tornando sulle scene con un prestigioso ed impegnativo lavoro in lingua.

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